Klezmorim, umori contagiosi tra allegria e dolore
BRESCIAOGGI
L’ebrezza di quattro voci femminili intrecciate a un tappeto sonoro
L’impasto strumentale per materializzare atmosfere e sugge- stioni di una cultura. Quello coristico per dargli voce sonora, srotolando immagini, tradizioni e stupende istantanee di vita popolare in una performance «notturnina» illuminata dai bagliori delle comunità ebraiche. Un tuffo nella storia di un popolo rimasto «senza terra», che vive la sua diaspora tra mille difficoltà, ostracismi di ogni genere e autentiche persecuzioni.
STORIE che parlano di una quotidianità secolare incisa nella stella di David, perfetto filo simbolico a tracciare i confini del viaggio di domenica sera in San Faustino, dove il programma tardo-serale de «LeX- giornate» ha visto in azione il gruppo Klezmorim.
Incapsulato nella tensostruttura – con qualche scroscio d’acqua di fuori e il pubblico piacevolmente raccolto all’interno -, l’ensemble bresciano sfoggia l’arma della purezza per propagare umori contagio- si, che generano battimani spontanei, lasciandosi canticchiare, sia che si tratti di canti religiosi o di litanie profane: perché la lingua (cantano ora in ebraico, ora in yiddish, l’idioma materno delle antiche comunità ebraiche) è solo un mezzo; il resto lo fanno – a seconda delle interpretazioni – l’intensità gioiosa o la carica drammatica.
QUANDO la voce narrante che anticipa estratti testuali dalle liriche (tradotti in italiano), ad esempio, sfocia nelle tragiche ed inevitabili memorie dell’olocausto. Dipinte al momento della trasposizione musicale in qualcosa di leggero e scacciapensieri: per sfuggire all’orrore, con la forza di un corofanciullino. Come nel celebre «Gam Gam» – brano impresso nelle radici occidentali grazie alle comparsate da colonna so- nora cinematografica («Jona che visse nella balena») e alle riedizioni per la discoteca -, che cita un versetto del Salmo 23 e affresca i giorni dello Sha- bat, la festa del riposo.
SUONANDO fresco e toccante: il gruppo Klezmorim, supportato dal violinista Stefano Zeni, attualizza i secoli, gioca sull’ebbrezza di quattro voci femminili intrecciate, sdraiate su un tappeto sonoro fatto di percussioni, violini, chitarre, tastiere e fisarmoniche capace di rimandare ai profumi gitani e modernissimi di artisti tipo Bregovic o Gogol Bordello.
In un clima da festa folkloristica, dove usi e costumi, storie e tradizioni, dramma e felicità di un popolo unico e controverso si fondono assieme. Abbracciando mondi lontanissimi, raccontando un po’ di sé con grande orgoglio ma in punta di piedi, contaminando canti religiosi, sabba d’amore e cori per il giorno del matrimonio dentro a un unico bacino di vita.
Bello e commovente. Perché così distante, eppure così vicino.