Parole e musica della memoria ebraica

BsM-febbraio-2011
BRESCIA MUSICA

Intervista a Rolando Anni e Alessandro Adami del gruppo “Klezmorim”

Un bambino di fronte a un albero su un prato circondato da una sconnessa staccionata scarna che conduce, voltando, fino a un caseggiato romito. La copertina del disco che racchiude i quindici canti della tradizione popolare ebraica cantati e suonati dal complesso Klezmorim è l’immagine ricreata di Oyfn veg shteyt a boym (“sta, lungo la strada, un albero piegato”), una di queste quindici storie in musica, la ninna-nanna di un bambino che chiede alla mamma di potersi arrampicare sull’albero per volare verso il cielo, anche se fa freddo e la mamma gli raccomanda di coprirsi, non vuol lasciarlo andare, per paura che si smarrisca.
Sono canti di un popolo di una cultura, di una religione che ha conosciuto nella Shoah la sua più forte cesura storica moderna. Dunque i Klezmorim da qualche tempo li propongono per contribuire alla memoria di un evento che di certo, nella sua immane e tragica portata, declina l’identità ebraica della nostra epoca. Ma sono altresì canti che non mantengono solo quella memoria, “codice del segno indelebile” o “memoria del tatuaggio”, come David Bidussa definisce l’eredità di Auschwitz, bensì la coscienza di una più ampia cultura ebraica, originata fin dalla Diaspora e le- gata alle sue millenarie conse- guenze, fatta di usanze ormai perdute, ma fondata su un elemento strutturale, il dominio della lingua, che ancor oggi vive e acquista con la musica i suoi significati più profondi e ancestrali.
I Klezmorim – parola yiddish che significa “musicanti”, dalla tradizione della musica klezmer nell’Europa orientale – sono otto ragazzi bresciani intorno ai trent’anni, coordinati dal tastierista e cantante Alessandro Adami. Questo loro primo Cd si pone come punto nodale di un percorso iniziato circa dieci anni or sono grazie a un’idea di Rolan- do Anni, storico e insegnante bresciano, il quale tuttora affianca il gruppo durante le performance dal vivo. Docente di Let- teratura italiana e Storia presso l’istituto “Gambara” in città e titolare del corso di Letteratura e Cristianesimo nell’Istituto superiore di Scienze religiose presso l’Università Cattolica di Via Trieste, Rolando Anni si dedica alla storia del Novecento con particolare riguardo al periodo intorno alla prima e alla seconda guerra mondiale, al fenomeno della Resistenza italiana e in particolare bresciana.
Attivo presso l’“Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’età contemporanea” dell’Università Cattolica, ha pubblicato saggi e libri fin dagli anni Settanta. Recentemente ha curato una Storia della resistenza bresciana e un Dizionario della Resistenza bresciana, nonché i diari di due internati militari bresciani in Germania, Francesco Soldano (Inadeguata cronaca di un viaggio nella vita) e Franco Quattrocchi (La guida di Hammerstein). Per Rolando Anni dunque gli avvenimenti di quel periodo, l’impatto delle leggi razziali in Italia, le resistenze alle per- secuzioni nazi-fasciste, l’universo concentrazionario, sono parte di una ricerca e un interesse culturale generale cui egli da sempre, fin dalla sua adolescenza, ha affiancato e fuso quello per l’ebraismo e per la Shoah.

“Io sono di estrazione cattolica – inizia a raccontarmi con lo sguardo di chi sta risvegliando lontani ricordi e ai miei tempi, quando andavo a scuola, negli anni Cinquanta, la cultura ebraica era sconosciuta, e agli ebrei si guardava con diffidenza. Siamo prima del Concilio Vaticano II, quindi prima ancora che papa Giovanni togliesse la preghiera contro i ‘perfidi ebrei’ che si recitava il venerdì santo. All’oratorio però incontrai un prete che diceva semplicemente che Cristo era un ebreo, e quindi, fin da bambino, sono cresciuto senza capire perché gli ebrei fossero un popolo perseguitato, e soprattutto in seguito non capivo come si fosse arri- vati alla Shoah. La curiosità per queste ragioni mi portarono a sviluppare un forte interesse per la cultura ebraica, che è una cultura straordinaria, di grande profondità, e che mi attrasse anche per l’importanza che da- va al senso della parola”.

Quando giunge l’idea dei Klezmorim?
“A un certo punto, circa quindici anni fa, capitò che mi invitarono a parlare di ebraismo e di Shoah, prima ancora che ve- nisse istituita la ricorrenza del giorno della memoria. Così iniziai a tenere conferenze: parlavo e venivo accompagnato da letture di testi. Dopo qualchetempo incontrai alcuni ragazzi fra cui Alessandro Adami, che cantavano nel ‘Grande coro insieme’ di don Mario Neva, e mi venne l’idea di unire la musica ai testi che si leggevano durante le mie conferenze. D’altronde la musica è un elemento fondamentale della cultura ebraica, profana e religiosa. All’inizio erano soprattutto canti paraliturgici, canti di salmi, e qualche canto profano. Le voci erano accompagnate solo da Alessandro al pianoforte e dal percussionista Alessandro Todeschini. Poi nel gennaio del 2002 l’Oratorio della Pace, sapendo di questa nostra attività, ci ha chiamati per le giornate deldialogo fra ebrei e cristiani, per un incontro che è stato, credo, il nostro primo ‘concerto’. Nel corso del tempo i rapporti fra la musica e le letture o le mie spie- gazioni si è invertito: prima la musica accompagnava quello che avevo da dire, adesso inve- ce sono io a dire delle cose che accompagnano la musica. Di- ciamo che io mi sono preoccu- pato di costruire questo progetto da un punto vista letterario e storico. La nostra particolarità è che i nostri non sono dei veri e propri concerti, sono ‘incontri’ dove la musica viene inserita in un contesto molto preciso perché siamo convinti ancora oggi che questa musica pur essendo semplice, popolare, non possa essere del tutto compresa senza alcune fondamentali spiegazioni”.

Musica popolare, dunque senza autori?
“Molti sì, sono brani popolari, senza autore, della tradizione klezmer e yiddish, degli anni Venti e Trenta. Altri invece sono di autori della prima metà del Novecento, alcuni di essi periti durante la seconda guerra mondiale come Mordechai Gebirtig o Hirsh Glik, che hanno scritto brani in questo periodo e che possono essere dunque davvero considerati brani della Shoah. Alcuni di questi autori che prendiamo in considerazione come lo stesso Gebirtig sono anche autori di teatro yiddish, un genere che ha avuto una grandissima fortuna fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, con una produzione di alto livello, da parte di autori che si occupavano della drammaturgia, della scrittura dei testi e in qualche modo anche delle musiche, facendo comunque sempre riferimento all’ambito popolare”.

Ha mai scritto libri o saggi su questi argomenti?
“Io mi occupo dello sfondo culturale di questi brani ed autori, soprattutto con riferimento a quello che è successo durante la seconda guerra mondiale nella realtà dei campi di con- centramento, ma le mie pubblicazioni non riguardano questo tipo di realtà concentrazionaria, bensì quella degli internati militari italiani, che è una realtà di- versa. Del resto sulla Shoah c’è già una bibliografia molto ampia, anzi, forse anche troppo, nel senso che non è tutta di alta qualità. Questo devo dire che succede soprattutto in certe opere narrative o in certi film che puntano sul sensazionalismo e sul sentimentalismo, ci sono certi film che sono una pugnalata al cuore, d’accordo, non si può certo lasciare da parte la commozione, ma questa da sola può dare una visione che è fuorviante. Per comprendere gli avvenimenti, e farli comprendere agli altri, lo storico deve avere un altro tipo di atteggiamento”.

Tornando al gruppo dei Klezmorim, chiedo ad Alessandro Adami come si è evoluta la formazione a partire dai primi tempi fino alla registrazione di questo Cd.
“All’inizio erano cinque-sei voci che io accompagnavo con il pianoforte, e poi già fin dall’inizio c’erano anche le percussioni suonate da Alessandro Todeschini. In seguito si è aggiunta una chitarra, Matteo Pizzoli, e infine la violinista Daniela Fusha. Oggi, oltre a me, che canto e suono, abbiamo tre strumentisti e quattro cantanti. Nel tempo la formazione vocale si è rinnovata e trasformata anche in relazione al repertorio, nel senso che all’inizio, come diceva Rolando, facevamo canzoni paraliturgiche che si prestavano a un canto d’insieme, ma poi ci siamo progressivamente spostati verso un repertorio più tipicamente yiddish che non è molto ‘da coro’ ma in genere prevede una voce solista accompagnata. Dunque fra noi cinque cantanti, quattro si alternano per cantare da solista, Denise Pisoni, Claudia Romelli, Elisabetta Vizzardi ed io, mentre Luisa Anni sostiene le parti corali”.

Quali sono le fonti a cui attin- gete per questi canti? Vi basate su registrazioni o su partiture?
“Soprattutto su registrazioni. In realtà per quanto riguarda un autore come Gebirtig, ad esempio, c’è una notevole edizione stampata della sua musica. Per quanto riguarda altri repertori ed autori invece sono fondamentali le registrazioni, c’è uno splendido data-base dell’università di Princeton, peraltro gratuito, dove si possono trovare le registrazioni, i testi in Pdf e talvolta la linea melodica. Poi cerchiamo di reperire registrazioni e partiture nei luoghi in cui ci spostiamo, soprattutto all’estero, ad esempio a Cracovia. In Israele Rolando ha trovato registrazioni di Chava Alberstein che sono importanti per lo stile, l’interpretazione, il modo in cui vengono cantati e suonati questi brani. In generale c’è una grande libertà interpretativa di queste musiche, dato che si tratta di repertori tramandati per lo più oralmente. Ci sono registrazioni storiche basate su un organico molto semplice, voce chitarra, fisarmonica o violino, ma se ci si sposta nella zona newyorkese di oggi si apre un altro mondo, ci sono influenze jazz, c’è spazio per l’improvvisazione, gli organici possono cambiare a dismisura. Ci sono dischi come quelli di Chava Alberstein con uno stile e un arrangiamento moderni legati al filone cantautorale. Que- sta musica insomma si apre a molte direzioni: si può scegliere la via ‘minimale’, quella più semplice, o invece arrangiamenti più corposi da musica pop. La nostra, dato l’organico, è una scelta che va verso la semplicità e l’essenzialità”.

Venendo dunque al disco che avete registrato?
“Nel Cd abbiamo fatto una scelta di mantenimento, sostanzialmente, di quello che facciamo dal vivo. Rispetto a quello che suoniamo durante i concerti non ci sono stravolgimenti. Abbiamo aggiunto solo qualche tappeto di tastiera, io in alcuni punti ho sovrapposto tastiera e fisarmonica, talvolta interviene un basso, suonato da Andrea Gipponi, il fonico che ci ha seguito in tutte le fasi della registrazione. Per quanto riguarda i brani, come dal vivo, ci sono le cose di cui abbiamo parlato fino ad ora, alcuni canti popolari anonimi, alcuni di Gebirtig o di Glik. Nel complesso il disco ri- specchia i nostri concerti dal vivo anche come struttura. All’inizio ci sono canti religiosi o paraliturgici, Shemà Israel o Gam gam o Shalom aleichem, poi una parte dedicata in generale al mondo dello shtetl – così si chiamavano i villaggi ebraici dell’Europa orientale che oggi sono stati spazzati via – dunque canzoni dedicate alle figure alle usanze e i mestieri, e anche alle preghiere di questo ambiente. Infine ci sono canti dedicati alla Shoah, tre o quattro. I canti talvolta sono in ebraico talvolta in yiddish. Nel disco non sono riportati i testi perché l’yiddish, che è tedesco antico con apporti diebraico e lingue slave, ha molte varianti a seconda dei luoghi, anche solo varianti di pronuncia, che danno origine a molti problemi di traslitterazione”.

Quali sono i luoghi e i periodi dei vostri incontri-concerti?
“In questo periodo intorno alla Giornata della Memoria siamo molto impegnati anche all’estero con l’iniziativa ‘Un treno per Auschwitz’, siamo appena reduci da Cracovia. Ma abbiamo anche molti altri appuntamenti, siamo impegnati nelle giornate della cultura ebraica, in settembre, e in incontri di dialogo fra varie confessioni religiose, ci proponiamo alle scuole ai comuni, parteciperemo alle ‘Settimane musicali bresciane’ organizzate dall’associazione ‘F. Soldano’ e altre iniziative che verranno annunciate sul nostro sito. La nostra attività è molto varia, al di là delle Giornate del- la Memoria anche perché come dicevamo prima, il nostro repertorio in verità non prevede poi molti canti della Shoah, quelli sono giusto alcuni pezzi, che rimandano a questa realtà ma non sono nemmeno stati scritti in campi di concentramento, bensì spesso nei ghetti. Nel Cd ci sono canzoni come Es brent scritto nel 1938 che rimanda direttamente alla ‘notte dei cristalli’, o come Rivkele, dedicata alla deportazione degli uomini del ghetto di Bialystok in Polonia. Per il resto sono canti della tradizione ebraica anche molto allegri, spesso pieni di ironia, un’ironia tipicamente ebraica che del resto è famosa. Lo spettacolo dura circa un’ora e mezza, ma la struttura non è mai rigida, dipende anche da quanto Rolando spiega e contestualizza ogni volta e quanto spazio viene invece lasciato alla musica che comunque ha la parte più preponderante”.

Avete avuto un buona risposta da parte del pubblico?
“In generale direi di sì, anche se non saprei dire se c’è un pubblico ‘affezionato’ che ci segue. Nelle scuole abbiamo avuto sempre una buona partecipazione, a volte addirittura classi che si sono messe a can- tare insieme a noi. Devo dire poi che mi ha fatto molto piacere constatare la grande presenza di pubblico alla presentazione del Cd, al cinema Eden il 29 gennaio, fra le iniziative per la Giornata della Memoria, insieme al resoconto di ‘Un treno per Auschwitz’. C’era la platea gremita in ogni ordine di posti, molte persone non sono nem- meno riuscite ad entrare. Segno che intorno a questi temi c’è molto interesse”.